Quattro etti d'amore,grazie di Chiara Gamberale
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Retro di copertina -fonte Pinterest |
È un libro che lascia più domande che risposte "Quattro etti d'amore, grazie" di Chiara Gamberale, ed è quindi un ottimo libro. È il secondo che leggo di questa autrice, il primo,"Per dieci minuti", mi era piaciuto si, ma mancava qualcosa. Scritto benissimo, raffinato, estremamente curato nella grafica e nella promozione, ma mancava qualcosa. A mio avviso di profondità. Un libro autobiografico in cui l'autrice racconta la fine del suo matrimonio. Descrive una profonda sofferenza senza però scoprirsi mai del tutto, senza andare troppo in profondità e rivelare le ferite. Lo capisco. Anche io nella stessa situazione desidererei raccontare una rinascita, di come sia possibile guarire anche dai dolori più grandi, per aiutare chi soffre lo stesso dolore. Ma allo stesso tempo non me la sentirei di espormi troppo, avrei timore di mettermi a nudo, alla berlina del pubblico e delle critiche. Questo penso possa essere accaduto a lei.
Ciononostante il libro era cosi ben scritto da lasciarmi con la voglia di saperne di più. La mia biblioteca aveva "Quattro etti d'amore, grazie". Quel "grazie" mi ha convinta.
La storia è semplice: due donne protagoniste, diversissime fra loro. Si incontrano ogni settimana al supermercato e, spiando l'una nel carrello dell'altra, in base ai prodotti che l'altra acquista ne immaginano e invidiano la vita, paragonandola alla propria. Sono l'una lo specchio dell'altra.
Ogni donna ha il suo specchio, il suo doppio. Un'altra donna a cui paragonarsi costantemente. Uno specchio che ci restituisce costantemente i nostri difetti, che ci ricorda tutto quello che non siamo e che con le sue azioni sottolinea tutto quello che noi sbagliamo. Non importa se la conosciamo o meno. Ognuna di noi l'ha sempre in testa la vita che, secondo lei, dovrebbe vivere e non invece vive. Ma la verità è che ognuna di noi ha esattamente e semplicemente l'unica vita che può vivere. Ed è questo che dovrebbe imparare ad accettare ed amare. Come dice il mio amico "non lo sappiamo, ma la felicità è sognare quello che già abbiamo".
C'è chi è tutto testa e chi è tutto cuore,cosi come le due protagoniste del libro, che si chiedono se sia invece possibile conciliare entrambe le cose: "Chi vive di forti emozioni,e dunque di cuore, non accetta facilmente i compromessi della vita di tutti i giorni,non si sposta volentieri dal piano dei sogni alla realtà". Al termine del libro, nessuna delle due donne trova se stessa o una via d'uscita da un'esistenza che non sente sua. Le protagoniste non riescono a decidere se siano tristi o felici nella loro vita. Possono solo andare avanti, un giorno per volta, e scoprire che possono sopravvivere e possono trovare pace in ciò che sono, partendo dalla consapevolezza che non esiste una lista della spesa che contenga gli ingredienti per la ricetta universale della felicità.
Appena terminato il racconto mi sono ritrovata a pensare alla "mia" donna oltre lo specchio,quel modello inarrivabile che ho eletto a perfezione e che odio e invidio allo stesso tempo. Non ho potuto fare a meno di chiedermi: arriva un momento nella vita in cui dobbiamo decidere cosa conta di più, noi o lei? Conta di più ciò che siamo o quello che non abbiamo? E se durante la ricerca di chi siamo perdiamo ciò che amiamo? E le persone che amiamo,sanno chi siamo? E noi lo sappiamo?
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