Lo scafandro e la farfalla

8 dicembre 1995. Jean-Dominique Bauby, giornalista e capo direttore di Elle, all'età di 43 anni, si risveglia un mattino in un letto d'ospedale, in seguito ad un ictus. E' lucido, cosciente, spaventato e soffre di una rarissima sindrome, la "locked-in". Jean-Do, come lo chiamano i suoi amici, ha perso l'uso di tutto il suo corpo, tranne che per la palpebra sinistra. E in quella palpebra lui concentrerà da lì in avanti tutto il resto della vita. La sua forza, il suo spirito  indomabile, il suo sarcasmo, la sua incredibile voglia di esserci, di vivere, di dire la sua, di fare la differenza, di amare....l'ictus non gli strappa nulla. La sua immaginazione, la memoria della vita vissuta, lo sostengono e lo aiutano ad evadere nei momenti di sconforto. "Fino a che ho la mia fantasia"- dice - "non ho bisogno di nient'altro". 
Jean-Do, prima dell'incidente, progettava di riscrivere, in chiave femminile, uno dei capolavori della letteratura francese: "Il conte di Montecristo". Proprio da Dumas l'infermiere e collaboratore ci Jean-Do prende spunto per creare un nuovo modo di comunicare. Come Noirtier nel romanzo che, colpito da colpo apoplettico, comunica con l'amata nipote Valentine usando solo gli occhi, cosi Jean-Do utilizza l'unico mezzo a sua disposizione: la sua palpebra sinistra. L'infermiere recita l'alfabeto e Jean-Do chiude una volta l'occhio quando arriva alla lettera desiderata. Dopo 200.000 battiti di ciglia nasce "Lo scafandro e la farfalla" in cui si racconta della vita immobile nella stanza 119, di ricordi e di rimpianti. 
Jean-Dominique è imprigionato in se stesso ma è più lucido e vivo di quanto non lo sia mai stato. Scopre dentro di se un mondo ricco e variopinto, che lo eleva al di là dei limiti della sua malattia. Jean-Do non si lamenta, mai. Non si auto commisera, mai. Non si illude, mai. Si pente e ha dei rimorsi, ma non lascia mai che i sensi di colpa lo schiaccino o che i rimorsi prendano il sopravvento su di lui. Non cerca la pietà o la comprensione di nessuno. Jean-Do è vivo. Vivo e brillante. Dal suo letto d'ospedale, sbattendo solo una palpebra, grida forte e chiaro il suo monito a non mollare. La vita schiaccia Jean-Dominique ma è lui che ne esce vincitore.

Il 17 marzo 1997, dieci giorni dopo l'uscita del libro,Jean-Do muore a causa di complicazioni dovutie ad una polmonite. Ci lascia un capolavoro di fragilità e forza. Ci lascia il suo testamento, con umiltà e senza presunzione. Ci insegna la lezione più grande di tutte: che fino a che abbiamo noi stessi, fino a che crediamo in noi stessi, non ci serve niente altro e nulla può sconfiggerci. 



Art by Margaux Motin 

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