I sette palazzi celesti
Memoria e cultura sono i temi intrecciati nell'opera dell'artista tedesco Anselm Kiefer e dei suoi palazzi, o meglio "I sette palazzi celesti", installazione permanente presso l'Hangar Bicocca di Milano. C'è solo una parola per descrivere l'opera di Kiefer: mozzafiato. Nell'ex fabbrica della Breda, laddove si costruivano locomotive, in mezzo al più assoluto vuoto svettano sette torri di cemento armato e piombo (la materia della malinconia), di altezze e forme diverse. L'opera di Kiefer è ispirata al simbolismo della antiche civiltà che, tramite costruzione architettoniche ascendenti, cercavano di avvicinarsi alla volta celeste e quindi al divino. Si ispira in particolare, per questa monumentale opera, al libro ebraico dei palazzi. Sette torri che, esattamente come per quella di Babele, rappresentavano il tentativo dell'uomo di elevarsi spiritualmente.
Mentre ci addentriamo, silenziosi e in punti di piedi in questo paesaggio spettrale, Roberta, la nostra bravissima guida, ci racconta che ad ognuna di queste torri l'artista ha attribuito un nome e un preciso significato. Piccole indizi e simboli che si snodano lungo tutto il percorso fino a portarci a comprendere il vero significato dell'opera.
I primi quattro palazzi parlano di distruzione, negazione,oppressione. Si comincia dalla "Torre dei Quadri Cadenti" attorniata da cornici vuote, rotte e nere, tele danneggiate e irriconoscibili. Le torri "JH & WH" che nella fonetica ebraica significano Jahweh, i cui piani sono intervallati da libri di piombo, illeggibili, e usati per riempire le crepe della torre. Ai piedi del quarto palazzo invece giacciono bobine e pellicole cinematografiche, lunghi nastri di piombo bruciati e con i fotogrammi illeggibili. Le tele, le pellicole, i libri sono tutti rappresentati tramite il piombo, un materiale nero, che rappresenta la malinconia nella tradizione ebraica, ma qui simboleggia forse anche il buio dell'ignoranza. Una progressiva e inesorabile cancellazione della cultura: pittura, letteratura, cinema. E' chiaro il parallelismo con il tentativo nazista di distruzione della cultura ebraica, ma assume qui un significato più ampio. La cultura è lo strumento tramite il quale un popolo si analizza, esprime e definisce. L'arte è il mezzo con il quale la cultura viene conservata, tramandata, e diffusa. Distruggendola si distrugge la memoria. E' come se l'artista volesse lanciarci un avvertimento, metterci in guardia e spronarci a difendere e sostenere l'arte per non dimenticare ciò che siamo e che abbiamo imparato.
Dal quinto palazzo le cose cambiano, il messaggio cambia, non più distruzione ma speranza. La torre Ararat ove campeggia, come il suo nome fa intuire, l'arca dell'alleanza, simbolo immortale di speranza e salvezza. Melancholia ai cui piedi piccole lastre di vetro simboleggiano, con i numeri di serie a loro attribuiti dalla Nasa, i corpi celesti. Luce che non muore, che guida, fin dall'antichità, i passi degli uomini. Come a ricordarci che non siamo soli e sperduti, ma abbiamo coordinate celesti a indicarci la via. Infine Sefiroth, il più piccolo dei sette palazzi, sul quale campeggiano i dieci Sefiroth appunto. Dieci parole che stanno a definire, nella Cabala, gli strumenti di Dio. Accanto a quest'ultima torre è installata una tela. Nel dipinto un uomo, di spalle, si appresta a guadare un fiume per raggiungere un indefinito orizzonte dove si intravedono un villaggio, o una foresta, o una moltitudine di uomini. Non è solo. Un arcobaleno lo abbraccia e lo accompagna, quasi a fargli da scudo. Un arcobaleno in cui, insieme ai colori, si intrecciano i nomi di Hegel, Schopenhouer, Nietzsche e dei più famosi pensatori tedeschi. L'uomo, alle prese con la difficile attraversata della vita, ha la sua unica possibilità di salvezza nella cultura. La cultura, intesa come conoscenza, espressa tramite le arti ci fa tramite, da traghetto, mentre navighiamo il mare dell'esistenza, ci impedisce di affogare, ci conduce in salvo.
Un opera magnifica e potente quella di Anselm Kiefer. I palazzi, sventrati, cadenti, ricordano l'orrore di una città bombardata e rappresentano allo stesso tempo la memoria di ciò che è stato e la proiezioni di ciò che potrebbe essere il futuro.
L'artista ci inviata a salvaguardare il nostro presente, a conservare la nostra memoria, ad aggrapparci all'arte come ancora di salvezza, a migliorarci per non ripetere ciò che è stato. Un messaggio forte, quanto mai tristemente attuale.
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HangarBicocca - I sette palazzi celesti |
Mentre ci addentriamo, silenziosi e in punti di piedi in questo paesaggio spettrale, Roberta, la nostra bravissima guida, ci racconta che ad ognuna di queste torri l'artista ha attribuito un nome e un preciso significato. Piccole indizi e simboli che si snodano lungo tutto il percorso fino a portarci a comprendere il vero significato dell'opera.
I primi quattro palazzi parlano di distruzione, negazione,oppressione. Si comincia dalla "Torre dei Quadri Cadenti" attorniata da cornici vuote, rotte e nere, tele danneggiate e irriconoscibili. Le torri "JH & WH" che nella fonetica ebraica significano Jahweh, i cui piani sono intervallati da libri di piombo, illeggibili, e usati per riempire le crepe della torre. Ai piedi del quarto palazzo invece giacciono bobine e pellicole cinematografiche, lunghi nastri di piombo bruciati e con i fotogrammi illeggibili. Le tele, le pellicole, i libri sono tutti rappresentati tramite il piombo, un materiale nero, che rappresenta la malinconia nella tradizione ebraica, ma qui simboleggia forse anche il buio dell'ignoranza. Una progressiva e inesorabile cancellazione della cultura: pittura, letteratura, cinema. E' chiaro il parallelismo con il tentativo nazista di distruzione della cultura ebraica, ma assume qui un significato più ampio. La cultura è lo strumento tramite il quale un popolo si analizza, esprime e definisce. L'arte è il mezzo con il quale la cultura viene conservata, tramandata, e diffusa. Distruggendola si distrugge la memoria. E' come se l'artista volesse lanciarci un avvertimento, metterci in guardia e spronarci a difendere e sostenere l'arte per non dimenticare ciò che siamo e che abbiamo imparato.
Dal quinto palazzo le cose cambiano, il messaggio cambia, non più distruzione ma speranza. La torre Ararat ove campeggia, come il suo nome fa intuire, l'arca dell'alleanza, simbolo immortale di speranza e salvezza. Melancholia ai cui piedi piccole lastre di vetro simboleggiano, con i numeri di serie a loro attribuiti dalla Nasa, i corpi celesti. Luce che non muore, che guida, fin dall'antichità, i passi degli uomini. Come a ricordarci che non siamo soli e sperduti, ma abbiamo coordinate celesti a indicarci la via. Infine Sefiroth, il più piccolo dei sette palazzi, sul quale campeggiano i dieci Sefiroth appunto. Dieci parole che stanno a definire, nella Cabala, gli strumenti di Dio. Accanto a quest'ultima torre è installata una tela. Nel dipinto un uomo, di spalle, si appresta a guadare un fiume per raggiungere un indefinito orizzonte dove si intravedono un villaggio, o una foresta, o una moltitudine di uomini. Non è solo. Un arcobaleno lo abbraccia e lo accompagna, quasi a fargli da scudo. Un arcobaleno in cui, insieme ai colori, si intrecciano i nomi di Hegel, Schopenhouer, Nietzsche e dei più famosi pensatori tedeschi. L'uomo, alle prese con la difficile attraversata della vita, ha la sua unica possibilità di salvezza nella cultura. La cultura, intesa come conoscenza, espressa tramite le arti ci fa tramite, da traghetto, mentre navighiamo il mare dell'esistenza, ci impedisce di affogare, ci conduce in salvo.
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L'artista ci inviata a salvaguardare il nostro presente, a conservare la nostra memoria, ad aggrapparci all'arte come ancora di salvezza, a migliorarci per non ripetere ciò che è stato. Un messaggio forte, quanto mai tristemente attuale.
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